Pianoforte

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Pianoforte
Steinway & Sons concert grand piano, model D-274, manufactured at Steinway's factory in Hamburg, Germany.png

Un moderno pianoforte a coda, di fabbricazione Steinway & Sons

Informazioni generali
Origine Italia
Invenzione 1700 circa
Inventore Bartolomeo Cristofori
Classificazione 314.122-4-8
Cordofoni a tastiera, a corde percosse
Uso
Musica galante e classica
Musica europea dell’Ottocento
Musica contemporanea
Musica jazz e black music
Musica pop e rock
Estensione
Pianoforte – estensione dello strumento

L’estensione è compresa fra 27,5000 e 4186,01 Hertz
Genealogia
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FortepianoClavicordo TastieraSintetizzatoreContinuumPianoforte elettrico
Ascolto
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Studio n. 12 in do minore op. 25 di Fryderyk Chopin(info file)

Il pianoforte è uno strumento musicale a corde percosse mediante martelletti azionati da una tastiera.

La tastiera è solitamente composta da 88 tasti, 52 di colore bianco e 36 di colore nero. I tasti bianchi rappresentano le note: do, re, mi, fa, sol, la, si. I tasti neri, invece, individuano le alterazioni (note bemolli o diesis). Il pianoforte è il più diffuso strumento appartenente ai cordofoni a corde percosse; altri membri sono il clavicordo, oggi utilizzato prevalentemente per l’esecuzione filologica della musica d’epoca, e il fortepiano, progenitore del pianoforte.

L’origine della parola pianoforte è italiana ed è riferita alla possibilità che lo strumento offre di suonare note a volumi diversi in base al tocco, effetto non ottenibile negli strumenti a tastiera precedenti, quali il clavicembalo.[1]

Anche mediante l’intervento sui pedali (solitamente tre), che azionano particolari meccanismi, il suono può essere modificato: in un moderno pianoforte a coda troviamo, da sinistra a destra, l’una corda, il tonale e quello di risonanza. Nei pianoforti verticali il pedale centrale aziona la sordina, che frappone una striscia di feltro fra le corde e i martelli per attutire il suono. Solo il primo e il terzo pedale sono presenti su tutti i pianoforti.

Chi suona il pianoforte viene chiamato pianista.

Struttura del pianoforte

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: fortepiano.

Il primo modello di pianoforte fu messo a punto in Italia da Bartolomeo Cristofori, padovano alla corte fiorentina di Cosimo III de’ Medici, a partire dal 1698. Per la precisione era un “gravicembalo col piano e forte”, chiamato verso la fine del Settecento con il nome pianoforte, piano-forte, ed anche “fortepiano” (come risulta dalle locandine coeve dei concerti di Beethoven ed altri grandi compositori dell’epoca in cui il pianoforte andò affermandosi). La novità era l’applicazione di una martelliera al clavicembalo. L’idea di Cristofori era di creare un clavicembalo con possibilità dinamiche controllabili dall’esecutore; nel clavicembalo, infatti, le corde pizzicate non permettono di controllare la dinamica (anche per questo motivo, pianoforte e clavicembalo non appartengono alla stessa sottofamiglia).

Il pianoforte non ebbe successo in Italia, ma l’idea finì molti anni dopo in Germania, dove il costruttore di organi Gottfried Silbermannnel 1726 ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori, che sottopose al parere di Johann Sebastian Bach, il quale ne diede un giudizio fortemente critico; successivamente, probabilmente a seguito dei miglioramenti tecnici apportati da Silbermann, lo stesso Bach risulta però aver personalmente favorito la vendita di alcuni pianoforti del costruttore, come risulta da un vero e proprio contratto di intermediazione firmato nel 1749. I pianoforti di Silbermann piacquero molto a Federico II di Prussia che, per arricchire i propri palazzi, ne comprò sette per 700 talleri (secondo la testimonianza di Johann Nikolaus Forkel, Federico acquistò negli anni più di 15 pianoforti Silbermann).

Alla bottega di Gottfried Silbermann si formò Johann Andreas Stein che, dopo essersi reso indipendente, perfezionò ad Augusta, in un proprio stabilimento, i sistemi dello scappamento e degli smorzatori. Nel 1777 ricevette la visita di Wolfgang Amadeus Mozart, il quale fu entusiasta delle infinite possibilità espressive dello strumento. I figli di Stein si trasferirono in seguito a Vienna, dove crearono una fabbrica di pianoforti.

In Italia, tra i non molti che si dedicarono alla costruzione dei pianoforti (in precedenza tutti costruttori di clavicembali) nel periodo napoleonico e della Restaurazione, sicuramente fu degna di fama la famiglia Cresci, di origine pisana, trasferitasi nella seconda metà del ‘700 a Livorno. Il musicologo Carlo Gervasoni, nella sua opera Nuova teoria di musica ricavata dall’odierna pratica, ossia (…) del 1812, menziona i pianoforti Cresci come paragonabili in qualità e sonorità agli Érard francesi, che andavano per la maggiore nella capitale imperiale Parigi.

La meccanica dei Cresci era di tipo viennese, cioè del tipo dei pianoforti di Joseph Böhm, Conrad Graf e Johann Schantz. La scuola viennese era sicuramente la più importante e sviluppata tra gli ultimi decenni del ‘700 e i primi dell’800.

Non fu un caso che tanto Mozart, quanto Beethoven o Franz Joseph Haydn, tutti in qualche modo legati a Vienna, sviluppassero per primi le incredibili potenzialità del nuovo strumento. Quello che frenava la diffusione del pianoforte nascente era il suo altissimo costo, per cui esso andò affermandosi solo nelle corti reali, nei palazzi governativi e nei saloni delle principali famiglie nobili. Inoltre il suo livello sonoro non era neppure paragonabile all’attuale e questo permetteva il suo uso solo in salotti o saloni di dimensioni relativamente contenute.

Fu in epoca romantica, dal 1840 in poi, che l’utilizzo di strutture rigide metalliche all’interno (in precedenza i pianoforti erano quasi tutti interamente in legno), con funzioni di telaio, consentì l’incremento della sonorità, grazie a più corde con tensioni maggiori e casse armoniche più grandi (ed andarono affermandosi i “coda” e “gran coda”, che all’epoca andavano da 220 a 260 cm). E anche il peso passò dai 180-200 kg (struttura interamente in legno) ai 300-400 (strutture in ferro), sino ai 600 ed oltre di inizio ‘900 (strutture in ghisa).

Questo incremento della potenza sonora del pianoforte ne consentì l’uso nei grandi teatri o nelle sale da concerto, ma trasformò profondamente la sua qualità sonora.

Ascoltare un brano di Beethoven suonato con un pianoforte viennese della sua epoca, o Liszt e Chopin con un Érard o Pleyel del periodo romantico, ci permette di comprendere veramente cosa volesse esprimere il compositore. Farlo con uno moderno ci conduce ad una reinterpretazione.

Il pianoforte attuale, apparso sul finire del XIX secolo, ha ben poco della timbrica originale di inizio ‘800. Oggi è molto diffuso chiamare “fortepiani” gli strumenti costruiti sino al 3° quarto dell’800, a causa della grande diversità della struttura e quindi della timbrica rispetto al pianoforte attuale. Non è, tuttavia, sempre facile distinguere nettamente fra l’una e l’altra tipologia, perché non si tratta di due strumenti diversi, ma del medesimo strumento, che ha subito gradualmente una profonda evoluzione; tanto più che all’epoca non si è mai avvertito un vero momento di stacco nel passaggio dal fortepiano al pianoforte moderno, come si può facilmente desumere dai documenti e dai testi.

I primi pianoforti verticali, più economici e meno ingombranti, furono creati forse nel 1780 da Johann Schmidt di Salisburgo e nel 1789 da William Southwell di Dublino.

I costruttori francesi più famosi, Sébastien Érard e Ignace Pleyel, furono i più grandi produttori di pianoforti dell’Ottocento. L’Érard, in particolare, era uno strumento di relativamente grande potenza sonora e di suono deciso (e potremmo dire “più moderno”), che dava particolare risalto espressivo. Franz Liszt ne fece il suo preferito. Ad Érard si devono moltissime invenzioni e perfezionamenti, tra cui quella del doppio scappamento. Il Pleyel invece aveva una grande dolcezza e pulizia sonora ed era relativamente più faticoso e difficile da suonare, perché permetteva molte sfumature interpretative ed aveva una maggiore sensibilità. Era il pianoforte romantico per eccellenza. Chopin ne fece il suo preferito (sebbene si narri che, quando era stanco, suonasse l’Érard, perché il Pleyel “gli chiedeva troppo..”).

Nel 1861 i torinesi Luigi Caldera e Ludovico Montù inventarono il melopiano, ovvero un pianoforte dotato di motore con carica a manovella.[2]

All’inizio del XX secolo la Steinway & Sons di New York brevettò il pianoforte con il telaio in ghisa e divenne il maggior produttore mondiale di pianoforti di qualità del Novecento.

Un valido costruttore italiano di pianoforti è stato Cesare Augusto Tallone. Attualmente, il costruttore italiano che è assurto a rinomanza mondiale è Fazioli.

La struttura[modifica | modifica wikitesto]

Tastiera di un pianoforte

Il pianoforte è costituito da otto parti:

  • la cassa, la tavola armonica;
  • la struttura portante e il rivestimento esterno;
  • la tastiera;
  • la meccanica;
  • la cordiera;
  • i pedali.

La cassa e la tavola armonica[modifica | modifica wikitesto]

La cassa e la tavola armonica sono generalmente in legno, principalmente abete e pioppo. Il somiere, parte in cui stanno le caviglie (o piroli) per tirare o allentare le corde, è spesso in legno di faggio.

La tastiera[modifica | modifica wikitesto]

Un’ottava con le sue alterazioni

La tastiera è la parte del pianoforte dove sono posizionati i tasti. La base su cui questa regge è spesso in abete. Lo strumento dispone generalmente di 88 tasti, 52 bianchi e 36 neri, corrispondenti ad un’estensione di sette ottave e una terza minore e disposti nella classica successione che intervalla gruppi di due e tre tasti neri. Questa successione permette di suonare le 12 note della scala cromaticaabbassando, nell’ordine, 12 tasti della tastiera. In alcuni pianoforti (pochi modelli) la tastiera si estende di 4 o persino 9 tasti oltre i normali 88, andando verso i bassi.[3] [4] Il punto di riferimento centrale della tastiera è un tasto do, chiamato per questo “do centrale”.

I tasti dei pianoforti più sofisticati sono spesso in avorio[5] ed ebano, mentre per i pianoforti comuni è usata generalmente la galalite(sostanza di consistenza cornea, ottenuta dalla caseina).

La nota do, a partire dalla quale è possibile eseguire la scala di do maggiore, priva di alterazioni, è il tasto bianco situato esattamente prima di ogni successione di due tasti neri. In genere i tasti neri, in considerazione della tonalità della musica da eseguire, vengono chiamati bemolle o diesis (più generalmente: alterazioni), a seconda che si riferiscano alla nota che li segue o a quella che li precede. Nei due casi, comunque, essi producono un suono che risulta più basso o più alto di un semitono (mezzo tono) rispetto ai tasti bianchi contigui.

Tastiera a 88 tasti, con ottave numerate, evidenziati il Do centrale (celeste) e il La del diapason (giallo)

La meccanica[modifica | modifica wikitesto]

Martelletti, corde, smorzatori e piroli: la meccanica di un pianoforte verticale

La meccanica è una delle parti fondamentali del pianoforte: comprende una serie di strumenti e sistemi che permettono la produzione del suono con l’azione del martelletto sulla corda attraverso l’abbassamento del tasto.

Funzionamento della meccanica[modifica | modifica wikitesto]

Quanto segue si riferisce alla meccanica “moderna” dei pianoforti a coda.

Quando si preme un tasto del pianoforte si alza lo smorzatore per permettere alle corde percosse dal martelletto di vibrare. Il cavalletto si solleva, trascinando con sé il bastone dello scappamento. Lo scappamento mette in funzione un rullino in feltro che è fissato all’asta del martelletto che di conseguenza si solleva. L’asta superiore del cavalletto va verso l’alto fin quando la sua estremità non tocca il bottoncino di regolazione. Il martelletto continua la sua corsa colpendo le corde e separandosi dal bastone di scappamento e dallo stesso cavalletto. Anche lo spingitore si alza e rimane sospeso fino a quando il tasto non viene rilasciato.

Dopo aver percosso la corda, a tasto ancora abbassato, il martelletto ricade anche se non completamente; infatti viene fermato dal rullino dell’asta del martelletto che si adagia sull’asta superiore del cavalletto ancora sollevata. Lo scappamento torna così alla sua posizione iniziale, cioè sotto l’asta del martelletto parzialmente alzato. Allo stesso tempo il paramartelletto impedisce che il martelletto rimbalzi sulle corde percuotendole nuovamente. Nel caso in cui il tasto venga rilasciato solo in modo parziale, il martelletto si muove libero dal paramartello mentre lo spingitore resta alzato. A questo punto se si preme di nuovo il tasto (che non è stato rilasciato completamente), lo scappamento è in grado di spingere di nuovo il rullino e l’asta del martello verso l’alto.

Questo sistema è chiamato “doppio scappamento” e permette di eseguire rapidamente la ripetizione di una stessa nota, senza che il tasto (e quindi anche il martelletto) ritornino alla propria posizione iniziale. Alla pressione del tasto, viene attivato un montante, che solleva lo smorzatore della corda relativa al tasto premuto, cosicché essa può vibrare liberamente. Rilasciato il tasto, di circa il 50% della sua corsa, lo smorzatore ricade sulla corda, bloccandone la vibrazione, e tutte le parti della meccanica tornano alla loro posizione d’origine, grazie anche alla forza di gravità. È opportuno ricordare che “doppio scappamento” è solo un modo di dire, in quanto teoricamente questo meccanismo permette di ripetere lo scappamento all’infinito.

Il pianoforte verticale, invece, non dispone del doppio scappamento; inoltre, non tutte le parti della sua meccanica tornano alla loro posizione iniziale grazie alla forza di gravità, perché i pezzi sono disposti verticalmente, per cui vengono utilizzate piccole strisce di feltro che aiutano il meccanismo.

Confronto con altri cordofoni[modifica | modifica wikitesto]

In quanto strumento dotato di una tastiera e di corde, il pianoforte è simile al clavicordo e al clavicembalo, dai quali si distingue per il modo in cui si produce il suono:

  • nel clavicembalo (e tutti gli altri strumenti a penna, come la spinetta e il virginale), le corde vengono pizzicate da un plettro (o penna) posizionato su un’asticella (detta salterello) che si alza quando il tasto viene abbassato, non permettendo così ottenere variazioni di intensità;
  • nel clavicordo, le corde vengono colpite da piccole lamine di metallo (dette tangenti) che rimangono a contatto con le corde per tutta la durata dell’azionamento del tasto. La variazione del tocco modifica, per una certa misura, l’intensità di un suono già per natura piuttosto debole;
  • nel pianoforte, le corde sono colpite da martelletti che immediatamente rimbalzano, permettendo quindi alla corda di vibrare liberamente, fino al rilascio del tasto che provoca l’intervento dello smorzatore.

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